RITRATTO DEI CONIUGI ARNOLFINI
Quadro tanto bello quanto misterioso. Il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” si presenta come uno dei più celebri enigmi irrisolti della storia dell’arte. Il dipinto, oggi conservato alla National Gallery di Londra, è un ritratto privato realizzato con olio siccativo su tavola di quercia (81,8 x 59,7 cm) che di certo ha soltanto l’autore e la data di realizzazione.
Essi, infatti, sono riportati sulla parete in fondo con la scritta che recita “Johannes de eyck fuit hic 1434”. Da notare questa insolita firma dell’artista che presenta la forma con “fuit hic” al posto del più tradizionale “fecit” e ciò potrebbe fornire una chiave di lettura per aiutarci a comprendere il significato dell’opera (ci torneremo su a breve).
La scena è ambientata probabilmente in una sala dove si era soliti ricevere gli ospiti facendoli accomodare su un letto. I dettagli del quadro sono tanti e bellissimi, in particolare lo specchio convesso al centro della rappresentazione che rende l’opera immortale come “Las Meninas” di Velázquez e l’”Autoritratto entro uno specchio convesso” del Parmigianino.
Lo sfarzo e il lusso invadono lo spazio. L’artista ritrae un uomo dall’espressione impenetrabile e una donna che sembra affidare la sua dolcezza nelle mani del compagno altero. L’identità dei protagonisti non è certa: gli storici dell’arte tendono ad identificare l’uomo con il ricco mercante di Lucca Giovanni Arnolfini mentre la compagna al suo fianco potrebbe essere la prima moglie Costanza Trenta o la seconda moglie Giovanna Cerami. La coppia è rappresentata con abiti ricchi di cui Arnolfini era un facoltoso mercante nel Nord Europa, in particolare a Bruges centro del commercio tessile più importante al mondo durante il tardo Medioevo. Il protagonista Arnolfini probabilmente aveva incontrato l’artista fiammingo nella cosiddetta “Venezia del Nord” presso il duca di Borgogna Filippo il Buono per il quale Van Eyck lavorava e con il quadro il mercante voleva esibire il suo status sociale e la propria ricchezza.
Al centro del dipinto, l’uomo indossa una tunica scura e sobria, quasi funerea, coperta da un mantello di pelliccia di marmotta, ed un ampio cappello di feltro nero. Lei un sontuoso ed elegante vestito verde, alla moda nell’epoca fiamminga, con larghe maniche e foderato di pelliccia di ermellino. La donna è intenta ad offrire la mano destra al compagno mentre appoggia l’altra mano sul proprio ventre: è probabilmente da escludere la gravidanza poiché vi sono numerose altre rappresentazioni con simile gestualità nella pittura fiamminga e, inoltre, la ricchezza dell’abito e il suo taglio fanno pensare che la donna voglia solo alzarlo per mostrare appieno la sua bellezza. L’uomo invece appare severo, quasi ieratico, si rivolge allo spettatore con la mano destra alzata, a seconda delle interpretazioni, forse in segno di saluto, di benedizione o di giuramento. Ai piedi della coppia si presenta un bellissimo cagnolino, simbolo di fedeltà e devozione.
I protagonisti non indossano le scarpe, la disposizione nella stanza non è casuale: quelle dell’uomo, di foggia olandese, sono presenti in primo piano rivolte verso il mondo esterno mentre quelle della donna sono vicine al letto matrimoniale. Quest’ultimo si presenta di un pregiato tessuto rosso e risalta il contrasto con il verde dell’abito della donna. Il tappeto vicino al letto presenta decorazioni con motivi orientali, forse della penisola anatolica. Anche la testiera del letto è ricca di dettagli, essa è intagliata con cura e presenta l’icona di una donna con ai piedi un drago: secondo la tradizione iconografica potrebbe essere Santa Margherita (patrona delle partorienti) oppure Santa Marta (patrona della casa). La critica è incerta sull’attribuzione seppur si tende a propendere per la seconda data la presenza di una spazzola sullo schienale del letto che, data la conformazione, induce a pensare più alla cura domestica che ai riti romani dei Lupercali, durante i quali, uomini vestiti di pelli di capre immolate frustavano le donne che desideravano una gravidanza.
Altrettanto bella e ricca di spunti interpretativi è la parte sinistra del dipinto che presenta una finestra con un ricco vetro piombato a “occhio di bue”, cosa rarissima nella prima metà del Quattrocento, dalla quale si intravede un ramo di un ciliegio che permette di ambientare la scena in periodo primaverile, in pieno contrasto con le pellicce dei capi di abbigliamento indossati in casa dalla coppia, a dimostrazione che scopo del mercante Arnolfini è di mostrare la ricchezza dei tessuti che commercia. Sul davanzale della finestra e su un ripiano sottostante sono presenti delle arance, frutta di non semplice reperibilità in quell’epoca nel Nord Europa.
Gli elementi presenti al centro della scena ci aiutano forse ad interpretare il significato del quadro. Oltre alla scritta vista in apertura, dietro le mani dei protagonisti compare un fregio, un piccolo mostro ghignante forse simbolo del male che incombe sulla coppia. In alto è appeso un ricco candelabro di bronzo con solo una candela che arde dalla parte di Arnolfini: la candela è simbolo di vita, l’assenza può far pensare alla morte vicina o già avvenuta della donna. A suffragare quest’ipotesi è la cornice del bellissimo specchio, elemento principe del dipinto, nella quale sono rappresentati con cura dieci episodi della Passione di Cristo: quelli della parte sinistra sono relativi a momenti in cui Gesù è in vita mentre quelli sul lato destro, vicino alla donna, raccontano le scene della morte e resurrezione di Cristo. Nello specchio sono raffigurati i due protagonisti di spalle e si intravedono altri due personaggi, probabilmente l’artista e un suo aiutante, oppure l’artista e l’Io spettatore che si avvicina al quadro per contemplare l’amore tra i due giovani.
Come detto prima, non è possibile decifrare con certezza il significato dell’opera. Le ipotesi più accreditate sono due: la celebrazione di una promessa di matrimonio e la commemorazione di una defunta. La critica moderna, in seguito alle tesi proposte da Erwin Panofsky, tende ad interpretare il quadro come il momento del fidanzamento, nel quale l’artista tramite la sua firma “fuit hic” testimonia la sua presenza nel momento del giuramento. A scompaginare questa tesi c’è però un piccolo dettaglio: chi è la donna? Costanza Trenta, prima moglie di Arnolfini, muore nel 1433, un anno prima della realizzazione dell’opera. Le nozze con la seconda moglie Giovanna Cerami si celebrano invece molti anni dopo quando l’artista era già morto…
Quindi non sapremo mai quale sia la chiave di lettura corretta del dipinto o se l’artista abbia mai voluto dare ad esso un significato. Non ci resta che ammirarlo e cercare di scorgere un po’ anche noi stessi all’interno dei riflessi del meraviglioso specchio.
Roberto Vitale